L'invenzione dei soldi by Alessandro Marzo Magno

L'invenzione dei soldi by Alessandro Marzo Magno

autore:Alessandro Marzo Magno [Magno, Alessandro Marzo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2013-01-31T23:00:00+00:00


7. L’usura e il cambio

Usura: mica bruscolini. Era un peccataccio orrendo nel medioevo, l’usura. Adesso ci sembra una cosuccia così, massì, vabbè e chessaramai. E invece no, gli usurai erano il vituperio delle genti, protagonisti di storie spaventose, come quella della cappella mortuaria dov’era appena stato sepolto un usuraio, strappata di notte dalle sue fondamenta e gettata nel fiume con tutto il suo macabro contenuto di salme inumate.1 Oppure come nel 1478, a Piacenza, quando durante i funerali di un usuraio si scatena un temporale terribile e allora la folla, convinta che stia arrivando la punizione divina, si impossessa della salma, la porta in processione per la città, la impicca e la getta nel Po.2

«Quando i ricchi dell’epoca si avvicinavano al letto di morte, sembrava in effetti che l’usura fosse non uno dei tanti, bensì il peccato che li preoccupava. I figli illegittimi, i rapporti sessuali con le giovani schiave nordafricane o slave, l’avidità, l’ingordigia e la generale intemperanza, li angosciavano molto meno.»3

Il denaro, si sa, è lo sterco del diavolo. Può venir considerato peggio di così? Certo che sì: l’usura è anche contro natura. «Il denaro non partorisce denari», afferma san Tommaso d’Aquino, citando Aristotele,4 e invece l’usura fa copulare il denaro e l’orrido frutto che ne deriva si chiama interesse. Già nel Decreto di Graziano, del XII secolo, fondamento del diritto canonico, si stabilisce: «Tutto ciò che viene riscosso al di là del capitale è usura».5 Al concilio di Reims, nel 1049, papa Leone IX stabilisce che i religiosi non possano praticare l’usura (segno evidente che in precedenza la praticavano allegramente). Nel 1179, il III concilio Lateranense proclama che nelle città cristiane gli usurai sono estranei ai quali dev’essere negata la sepoltura religiosa, e nel 1274 il concilio di Lione conferma: i corpi degli usurai vanno gettati nei fossi o nei fiumi.6 Lo scrive anche Boccaccio, nella prima giornata del Decameron: «Niuna chiesa vorrà il suo corpo ricevere, anzi sarà gittato a fossi a guisa d’un cane». Bernardino da Feltre, il francescano che abbiamo visto battersi per l’apertura dei Monti di pietà, si esprime così nel suo immaginifico linguaggio: «Usurarius est mortus infraciditus, quia secum trahit: furtum, omicidium, infernum».7

Nemmeno Dante Alighieri ha dubbi: l’usura è talmente contro natura che nel canto XVII dell’Inferno usurai e sodomiti vengono puniti assieme. Lingue di fuoco e cenere ardente cadono in eterno su uno squallido paesaggio di sabbia infuocata. I sodomiti sono costretti a errare in un innaturale moto perpetuo. Gli usurai devono stare seduti immobili nella medesima posizione che in vita hanno mantenuto davanti ai loro banchi. Solo le mani si muovono in modo rapido e convulso, come facevano un tempo per contare le monete o scrivere i rendiconti di spese che nell’oltretomba non hanno più alcun valore. I volti sono sfigurati. Il dolore sgorga dagli occhi che i dannati si sono rovinati fissando i registri contabili.8

Per mondarsi dal peccato d’usura non sono sufficienti le elemosine: chi se n’è macchiato può aspirare al perdono soltanto restituendo fino all’ultimo centesimo, in vita o in morte, tutto il guadagno illecito.



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